L'INCHIESTA n° 26 OTTOBRE 2007
BENESSERE IN AZIENDA. COSÌ IL MANAGER RAGGIUNGE IL TOP

da Master Meeting OTTOBRE 2007

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Sommario


Come migliorare le proprie prestazioni fisiche e mentali, accattivarsi la simpatia dei collaboratori, sentirsi in forma e più sicuri sul lavoro? Abbiamo girato la domanda ad alcuni noti esperti di benessere e di life style


Il buon leader è vulnerabile


Nascondere le paure non aiuta a vincerle, anzi le peggiora. Mentre ammettere i propri limiti aumenta il margine di miglioramento delle proprie abilità. Lo dice il noto coach milanese Roberto Re, a quale abbiamo chiesto qualche consiglio su come esercitare al meglio la leadership e gestire con successo i momenti di crisi.
Per un top manager trasmettere sicurezza è anche un modo per ottenere maggiore consenso.
Come migliorare la propria autostima ed esprimere più sicurezza negli atteggiamenti, per esempio nella postura, e nel tono di voce?
«Acquisire sicurezza non è tanto una questione di imparare la postura giusta, anche se può essere utile modificare il proprio atteggiamento e quindi trasmettere, attraverso il linguaggio del corpo, un determinato tipo di messaggio al nostro interlocutore. Si diventa sicuri solo quando si prende consapevolezza del proprio potenziale, vincendo le opinioni e i pregiudizi limitanti su noi stessi. Lo studente che ha studiato, e che quindi ha una buona padronanza della materia, si presenterà all’esame sicuro».
Come gestire nel modo migliore in azienda le situazioni di crisi, per esempio, quando ci si rende conto di avere fatto un errore che può comportare il rischio del posto?
«Il mio consiglio è prima di tutto quello di non lasciarsi condizionare dall’emotività. Se poi si è in grado di riparare all’errore da soli, non è necessario sbandierarlo ai quattro venti. Quando questo, invece, non è possibile, bisogna cambiare prospettiva: di solito, quando sbagliamo ci sentiamo sbagliati e proprio per questo non vogliamo ammettere di avere sbagliato. Se invece comprendessimo che l’errore non è tanto lo sbaglio che possiamo aver commesso, ma l’atteggiamento negativo che si ha nel valutarlo, ovvero nel farne una tragedia, non ci sentiremmo più sbagliati. Senza dimenticare che ammettere i propri errori e assumersene la responsabilità è una manifestazione di grande forza che suscita negli altri stima e rispetto».
Per un leader, tuttavia, affrontare i propri limiti è spesso una tragedia. Come indurlo ad accettarli e a superare eventuali complessi di inferiorità?
«Può essere utile pensare che ogni limite sia in realtà un’opportunità di miglioramento. Un’intera generazione di manager è stata allevata nell’erronea convinzione che la debolezza sia un male da nascondere. E purtroppo molti manager ancora oggi fanno fatica ad esternare i propri timori: il manager non ha mai paura, ma patisce lo stress, che poi, a ben guardare è la stessa cosa».
La diplomazia è un’arte che spesso si rende necessaria per chi riveste un ruolo di comando . Come riportare equilibrio tra due persone in netto contrasto su una questione, tenendo presente che ciascuno ha le proprie ragioni?
«Una delle più grandi abilita del leader è la capacità di gestire i conflitti, i quali, se ben sfruttati, non sono mai situazioni negative in quanto quasi sempre portano a un chiarimento e mettono in moto energie che devono però essere canalizzate in modo proficuo. Dalla sua posizione esterna, il leader è in grado di valutare con maggiore obiettività i vari punti di vista. La sua bravura consiste nel far capire il punto di vista dell’altro, senza creare ostilità, stimolando lo spirito di squadra. In azienda non è fondamentale amarsi alla follia o pensarla allo stesso modo. E’importante però lavorare nella stessa direzione e cioè per il bene dell’azienda, solo così il beneficio sarà di tutti».
Come ci si prepara ad affrontare al meglio una prova difficile? «La preparazione tecnica non è sufficiente se non si è pronti anche mentalmente. In questo senso è utile proiettarsi nel contesto in modo positivo, come se la prova fosse già stata superata. Di solito invece, prima di un esame, si fa l’esatto contrario e si immaginano le situazioni peggiori, senza sapere che, così facendo, si aumentano le probabilità di sbagliare nella realtà.
Un altro consiglio è quello di partire dal rilassamento del corpo. Quando abbiamo paura o siamo sotto stress, il nostro corpo ci manda segnali precisi: il respiro si fa affannoso, i muscoli si irrigidiscono e via dicendo, allora può aiutare immaginarsi in una situazione che ci dia serenità e cominciare, per esempio, a controllare il respiro. Piano piano, la tensione fisica si attenuerà e saremo meglio predisposti anche mentalmente».



Più attivi e longevi con il chicco di Martin


In Italia è conosciuto come un guru della terapia alimentare - con la sua dieta ha curato molti casi disperati - ma Martin Halsey è qualcosa di più. E’ una persona di grande cultura e molto disponibile che non ha bisogno di spendere tante parole a favore del suo metodo. Gli basta invitare gli scettici alla sua scuola di cucina, La Sana Gola, in via Carlo Farini 70 (www.lasanagola.com), che il venerdì sera si trasforma in un ristorante aperto al pubblico su prenotazione.
53 anni, originario del New Jersey, Halsey vanta una laurea in biologia all’Università del Massachusetts, e una specializzazione in discipline curative orientali e macrobiotiche e in scienza dell’alimentazione. A chi segue i suoi insegnamenti promette una vita più sana, longeva e produttiva.
Come è arrivato a elaborare il suo metodo?
«Vengo da un background sportivo. Sono stato un giocatore di basket professionista e mi sono avvicinato alla macrobiotica per migliorare le mie prestazioni. L’incontro decisivo è stato con Michio Kushi, il più noto terapista di alimentazione orientale, ideatore della piramide alla cui base c’è il chicco di cereale integrale, che deve costituire il 60% di una sana alimentazione, unito alle verdure, mentre al vertice, da consumare con grande parsimonia, c’è la carne, seguita da uova e latticini. Quello che ho fatto è stato riprendere la piramide di Kushi e adattarla alle abitudine degli italiani, studiando gli effetti che le molecole dei cibi producono all’interno del corpo, e non solo le proprietà dei singoli cibi. Per esempio, si sente dire che la carne riscalda il corpo, crea massa e dà energia. Ed è vero, ma questo va bene se c’è un lavoro fisico che comporta un grande dispendio energetico oppure se si vive in un ambiente non riscaldato. Oggi la maggior parte delle persone, invece, conduce un tipo di vita sedentario e non c’è nessuno che non faccia uso del condizionatore, Tanto che i problemi moderni non sono di carenza, ma di eccesso di cibo».
Su quali altri principi si fonda la sua dieta? «Sul consumo, oltre che di cereali integrali, di verdure crude e cotte e alghe, ricche di magnesio».
Quali sono le perplessità più frequenti di chi si avvicina per la prima volta al suo metodo?
«La paura di rinunciare alla vita sociale. Non è facile trovare in tutti i ristorante menu compatibili con la mia dieta. Ma si può arrivare a un accettabile compromesso, ordinando per esempio riso in bianco o pasta e fagioli. Tra i ristoranti, consiglio quelli indiani e giapponesi con una raccomandazione: ordinare solo pesce a carne bianca».
Le vecchie abitudini alimentari sono difficili da sradicare perché spesso da loro traiamo un immediato piacere. Che consigli dà per guarire dalla dipendenza di certi cibi?
«Bisogna volerlo. Il mio metodo richiede inizialmente spirito di sacrificio perché comporta una rivoluzione radicale delle proprie abitudini. Ma poi i benefici arrivano. Bisognerebbe inoltre bandire da subito il cibo animale che crea il bisogno di altri alimenti nocivi come alcool, dolci e caffè».
E se proprio viene “un attacco di dolce”?
«In questo caso consiglio la bevanda di kuzu, un addensante di origine vegetale con effetti rinforzanti sull’apparato digerente, e malto d’orzo. Si fa sciogliere un cucchiaio di kuzu in un pentolino d’acqua fredda, lo si porta a ebollizione, dopodiché si aggiunge malto d’orzo o succo di mela».
Quali altri alimenti vanno assunti con moderazione?
«Tutti i prodotti da forno (pasta, crakers, pizza), il sale e l’olio, anche quello extravergine: assumerne tanto equivale a cercare di pulire una superficie sporca con uno straccio unto. Anche il pesce va mangiato non più di due volte alla settimana. Vanno bene merluzzo, branzino, orata, nasello, trota e triglia. Sono da evitare, invece, tonno, pesce spada e crostacei. Queste sono le linee guida, ovviamente una buona dieta è sempre personalizzata».
In sostituzione dell’olio di extravergine d’oliva, un must della tavola italiana, cosa propone?
«Salsine a base di senape, zenzero e rafano».
In cosa consiste il suo consulto?
«Esamino la conformazione del viso, la lingua, gli occhi, le mani e i piedi. Non è indispensabile, ma è meglio essere provvisti degli ultimi esami del sangue e, poi partendo da principi di base, uguali per tutti, personalizzo la dieta».
Quanto dura?
«Un’ora, con attese di 3 settimane al massimo».
Quali sono i disturbi più frequenti nei top manager?
«Pressione alta, insonnia, tumore alla prostata, stanchezza e calo energetico».
Ci racconta una guarigione eclatante?
«Quella di un noto industriale che da vent’anni soffriva di un invalidante mal di testa tanto da arrivare a prendere fino a 20 pastiglie al giorno. Quando venne da me, era già stato da numerosi specialisti, anche per disturbi al cuore e alla prostata provocati dall’abuso dei farmaci. Il suo problema in realtà partiva dalla digestione. Con la mia dieta è riuscito a risolverlo in maniera definitiva».
E un fallimento?
«Più che un fallimento, la considero una frustrazione. riguarda un amico, un avvocato di Torino, che per motivi di lavori, cena fuori ogni sera e conduce una vita molto disordinata. L’ultima volta che è venuto a trovarmi era ingrassato di 30 chili e aveva un principio di itterizia. Ha però promesso che adesso si rimetterà in riga. I top manager spesso hanno una tempra molto forte che li fa crollare più tardi rispetto alla maggior parte delle persone. E questo li sottopone a un rischio maggiore».

Box
Per saperne di più
Ai neofiti consigliamo di leggere i tre libri base di Martin Halsey Cucina come Arte (pag. 103; 7,75 euro. Un Mondo Leggero Edizioni) Curarsi in casa (pag. 108; 8,50 euro; Edizioni La Sana Gola) Terapia Alimentare (pag. 109; 12 euro; Edizioni La Sana Gola)



Il parere del medico



La vita del manager, si sa, è sottoposta a numerosi stress, ma in alcuni casi sembra addirittura contraddire le regole per una buona salute. Un rischio da non sottovalutare, soprattutto se si manifestano mal di testa, insonnia, riduzione della concentrazione, insofferenza e distacco emotivo. Abbiamo chiesto come prevenire alcuni disturbi, tipici di chi trascorre troppo ore lavorando, alla dottoressa Annabella Campiotti, nota anche per essere il medico delle modelle e delle star, alle sue cure si sono affidati tra gli altri Brad Pitt e George Clooney durante le riprese in Italia di Ocean’s Twelve.
Partiamo dall’inizio. Come è nata la passione per la medicina?
«Sono figlia d’arte. L’esempio di mio padre ha sicuramente influito sulle mie scelte. Il medico, fino agli anni 70, assomigliava davvero a un sacerdote; conosceva la storia di tutte le famiglie, seguiva negli anni intere generazioni. Ricordo che veniva chiamato anche più volte in una notte, e io ero attratta dal sacrificio, dalla passione per un lavoro che richiede dedizione assoluta e che è una vera missione».
E lei che tipo di medico si ritiene, un confidente o un tecnico?
«Mi piace molto essere amica, consigliera e, perché no, a volte anche problem solving dei miei pazienti, cercando di essere disponibile, ma senza dimenticare che esistono ruoli e confini. Condivido l’affermazione di Karl Jasper, medico oltre che filosofo; sosteneva che gli psicoterapeuti svolgono oggi la funzione cui alcuni medici hanno abdicato. Lo spazio lasciato vuoto dalla medicina è stato occupato dalla psicoanalisi. Credo che nell’era della tecnica, lo sguardo clinico abbia sempre di più abbandonato la componente umanitaria fondata sulla comunicazione comprensiva tra medico e paziente, per attenersi solo all’oggettività dei dati clinici. I medici, abbandonando la componente filosofica della loro funzione, si sono allontanati dal paziente. Ecco la ragione del grande successo delle medicine alternative».
Qual è la sua specializzazione?
«Dopo la laurea, ho conseguito la specializzazione in odontostomatologia. Pur sapendo di essere una privilegiata - entrare in scuola di specialità, soprattutto di odontoiatria ai miei tempi era molto difficile - ho esercitato molto poco. Il massimo dell’impegno come odontoiatra era rivolto alle persone sieropositive per l’HIV che negli anni Ottanta iniziava ad essere in aumento, misconosciuto ed evitato dalla maggior parte dei colleghi odontoiatri.
Impegnata nel volontariato, con il sostegno anche di ANLAIDS –Lombardia, abbiamo aperto al San Raffaele di Milano il primo centro odontoiatrico per persone sieropositive. Fu in quell’occasione che pubblicai un testo con la mia raccolta iconografica di tutte le lesioni del cavo orale in pazienti Hiv positivi affinché i dentisti avessero in mano una guida utile. Alla fine degli anni 90, ho aperto, grazie all’allora Presidente di Anlaids, la contessa Fiore Crespi, la missione in Etiopia, dove ogni anno mi fermo un mese in occasione del Natale. Oggi, oltre che nel mio studio, visito i pazienti alla Casa di cura La Madonnina di Milano, dove mi appoggio per ricoveri e check up e dove c’è una TAC di nuova generazione che permette di acquisire numerose immagini sequenziali in poco tempo che, elaborate, generano immagini tridimensionali».
Tra i suoi pazienti figurano alcune tra le star più amate del momento. È diverso curare una star rispetto a un comune mortale? Quali sono i problemi più frequenti che si è trovata ad affrontare con loro?
«Professionalmente i pazienti sono tutti uguali. Le malattie sono diverse. Il modo in cui un ammalato chiede aiuto al medico, è lo stesso per tutti, così come la paura del dolore e l’angoscia di perdere la propria forza fisica Forse i vip hanno meno tempo».
Ci racconta un aneddoto curioso con una star, anche senza fare nomi?
«Posso raccontarle del caso di una nota stilista italiana che era venuta da me per un grave problema di sudorazione associato a cattivo odore. Era già stata da diversi specialisti senza venire a capo di niente. Combinazione ero appena tornata dalla Germania dove avevo studiato le applicazioni del Vega test per le intolleranze alimentari e glielo proposi. Risultò intollerante all’olio d’oliva. E dopo averlo eliminato dalla propria dieta, non ebbe più quel problema».
Oggi c’è una grandissima attenzione al benessere inteso come forma fisica, ma anche come salute. Quali sono i disturbi da stress di superlavoro più frequenti?
«Insonnia, impotenza, infertilità e attacchi di panico».
E i sintomi da non sottovalutare?
«La riduzione della concentrazione, dell’attenzione e del livello di tolleranza, la depersonalizzazione, ovvero lo sviluppo di atteggiamenti negativi di distacco, cinismo e ostilità e lo svuotamento delle risorse emotive e personali, con la sensazione di non aver più niente da offrire».
Quali consigli dà a un uomo d’affari sottoposto allo stress di ritmi lavorativi frenetici, costretto magari a viaggiare spesso e a mangiare di corsa?
«Non controllare le email durante i pasti, non spedirle mentre si è fermi al semaforo rosso. Non accendere il blackberry appena svegli. Chiudere PC e cellulari per un paio d’ore la giorno. La Harward Business School, intervistando 1564 fra manager e professionisti d’alto livello, ha constatato che la loro settimana di lavoro supera mediamente le 70 ore con punte di 130 e che il resto del tempo i manager intervistati lo passano comunque senza mai interrompere i contatti di lavoro. Le conseguenze sono un peggioramento della qualità della vita, delle relazioni sociali e familiari. Per rendersi conto della dimensione del fenomeno basti pensare che gli americani parlano già di creare un “percorso salute per i manager” sulla falsa riga di quello delle associazione di self help».
C’è qualche esame specifico che suggerisce?
«È importante valutare la familiarità, ovvero la presenza di malattie ricorrenti nel proprio albero genealogico, e poi fare i relativi esami. Di solito a chi conduce una vita stressante consiglio gli esami per i rischi cardiovascolari che vanno comunque sempre personalizzati a seconda della storia clinica : se un paziente fuma 40 sigarette al giorno, è buona regola fare uno screening dell’apparato respiratorio o se beve tutte le sere è bene che si sottoponga a degli accertamenti sulla funzionalità epatica. Consiglio comunque, l’ecocolordoppler per controllare il rischio vascolare ed il dosaggio dei valori plasmatici del colesterolo che, come si sa, è legato sì all’alimentazione, ma molto anche allo stress».
Ci racconti qualcosa di lei. Cosa le piace fare nel tempo libero?
«Mi piace stare in mezzo alla natura. Per questo, appena posso, mi rifugio nella mia casa in campagna. Amo anche leggere e fare lunghe passeggiate».
Se non avesse fatto il medico cosa avrebbe fatto?
«La fotografa».
Qual è il suo stile nel lavoro e nella vita?
«La dedizione. Quando faccio qualcosa mi ci dedico totalmente, nel lavoro e nelle passioni».
La sua ambizione più grande?
«Più che un’ambizione, è un sogno nel cassetto: mi piacerebbe realizzare una catena di asili nido, perché la cultura quindi l’insegnamento è fondamentale per far crescere una società migliore».



Il buon leader è vulnerabile



Nascondere le paure non aiuta a vincerle, anzi le peggiora. Mentre ammettere i propri limiti aumenta il margine di miglioramento delle proprie abilità. Lo dice il noto coach milanese Roberto Re, al quale abbiamo chiesto qualche consiglio su come esercitare al meglio la leadership e gestire con successo i momenti di crisi.
Per un top manager trasmettere sicurezza è anche un modo per ottenere maggiore consenso.
Come migliorare la propria autostima ed esprimere più sicurezza negli atteggiamenti, per esempio nella postura, e nel tono di voce?
«Acquisire sicurezza non è tanto una questione di imparare la postura giusta, anche se può essere utile modificare il proprio atteggiamento e quindi trasmettere, attraverso il linguaggio del corpo, un determinato tipo di messaggio al nostro interlocutore. Si diventa sicuri solo quando si prende consapevolezza del proprio potenziale, vincendo le opinioni e i pregiudizi limitanti su noi stessi. Lo studente che ha studiato, e che quindi ha una buona padronanza della materia, si presenterà all’esame sicuro».
Come gestire nel modo migliore in azienda le situazioni di crisi, per esempio, quando ci si rende conto di avere fatto un errore che può comportare il rischio del posto?
«Il mio consiglio è prima di tutto quello di non lasciarsi condizionare dall’emotività. Se poi si è in grado di riparare all’errore da soli, non è necessario sbandierarlo ai quattro venti. Quando ciò, invece, non è possibile, bisogna cambiare prospettiva: di solito, quando sbagliamo ci sentiamo sbagliati e proprio per questo non vogliamo ammettere di avere sbagliato. Se invece comprendessimo che l’errore non è tanto lo sbaglio che possiamo aver commesso, ma l’atteggiamento negativo che si ha nel valutarlo, ovvero nel farne una tragedia, non ci sentiremmo più sbagliati. Senza dimenticare che ammettere i propri errori e assumersene la responsabilità è una manifestazione di grande forza che suscita negli altri stima e rispetto».
Per un leader, tuttavia, affrontare i propri limiti è spesso una tragedia. Come indurlo ad accettarli e a superare eventuali complessi di inferiorità?
«Può essere utile pensare che ogni limite sia in realtà un’opportunità di miglioramento. Un’intera generazione di manager è stata allevata nell’erronea convinzione che la debolezza sia un male da nascondere. E purtroppo molti manager ancora oggi fanno fatica ad esternare i propri timori: il manager non ha mai paura, ma patisce lo stress, che poi, a ben guardare è la stessa cosa».
La diplomazia è un’arte che spesso si rende necessaria per chi riveste un ruolo di comando . Come riportare equilibrio tra due persone in netto contrasto su una questione, tenendo presente che ciascuno ha le proprie ragioni?
«Una delle più grandi abilita del leader è la capacità di gestire i conflitti, i quali, se ben sfruttati, non sono mai situazioni negative in quanto quasi sempre portano a un chiarimento e mettono in moto energie che devono però essere canalizzate in modo proficuo. Dalla sua posizione esterna, il leader è in grado di valutare con maggiore obiettività i vari punti di vista. La sua bravura consiste nel far capire il punto di vista dell’altro, senza creare ostilità, stimolando lo spirito di squadra. In azienda non è fondamentale amarsi alla follia o pensarla allo stesso modo. E’importante però lavorare nella stessa direzione e cioè per il bene dell’azienda, solo così il beneficio sarà di tutti».
Come ci si prepara ad affrontare al meglio una prova difficile?
«La preparazione tecnica non è sufficiente se non si è pronti anche mentalmente. In questo senso è utile proiettarsi nel contesto in modo positivo, come se la prova fosse già stata superata. Di solito invece, prima di un esame, si fa l’esatto contrario e si immaginano le situazioni peggiori, senza sapere che, così facendo, si aumentano le probabilità di sbagliare nella realtà.
Un altro consiglio è quello di partire dal rilassamento del corpo. Quando abbiamo paura o siamo sotto stress, il nostro corpo ci manda segnali precisi: il respiro si fa affannoso, i muscoli si irrigidiscono e via dicendo, allora può aiutare immaginarsi in una situazione che ci dia serenità e cominciare, per esempio, a controllare il respiro. Piano piano, la tensione fisica si attenuerà e saremo meglio predisposti anche mentalmente».



Dress for success



L’eleganza in azienda.
Come curare la propria immagine per avere più successo.
Sapersi comportare in pubblico e sfoggiare buone maniere è senz’altro un modo per distinguersi ma in molti casi è l’abito che fa la differenza, segnando il confine tra la persona di successo e il “tapino”. Non è un caso che una delle prime cose che fanno i neolaureati appena assunti in un’azienda importante è rifarsi il guardaroba. Certo oggi non si rischia più di essere rispediti a casa a cambiarsi per aver indossato lo spezzato, ma l’eleganza ha sempre la sua importanza. Per sapere qual è lo stile del successo ci siamo rivolti alla scrittrice, esperta di bon ton, Pixie La Rouge che ha recentemente pubblicato con la Sperling & Kupfer Amateci così, Manuale di seduzione con 40 ricette di fascino.
Come è cambiato il modo di vestirsi in azienda rispetto agli anni 80 in particolare in relazione a camicia, cravatta, abito e scarpe?
«Camicia e cravatta hanno colori più bizzarri e “femminili”. I colori pastello hanno colonizzato il guardaroba maschile accanto a quelli più tradizionali. L’abito vige quando è richiesto rigore ma il colore nero ha perso il primato. Lo spezzato è di rito anche con i jeans. La scarpa da sport è trendy quando si vuole essere un po’ originali, ma per gli appuntamenti importanti la classica, in cuoio nero o marrone, trasmette affidabilità».
Come ci si deve vestire al lavoro nelle seguenti situazioni: in ufficio, a un consiglio di amministrazione, al ristorante e a un galà?
«Nel lavoro di tutti i giorni si può spaziare dal maglione allo spezzato all’abito. Quest’ultimo è d’obbligo a un consiglio d’amministrazione. Al ristorante, di giorno si va senza problemi, la sera in abito. A un galà si indossa lo smoking con il papillon nero, ma per un’occasione mondana più impegnativa il frac e la cravatta bianca».
Quando il casual può andare bene?
«In tutte le occasioni in cui i rapporti non siano dichiaratamente gerarchici. Anche quando non è necessario essere “corazzati” ma si può lavorare in modo rilassato».
Il borsello oggi è in o out?
«Il borsello degli anni Settanta - quello squadrato a scomparti, da portare sulla spalla - è definitivamente bandito, come anche quello a pochette. Ora si ricorre allo zainetto - con le bretelle tradizionali o con la fascia diagonale - alla busta essenziale che permette di portare solo il necessario con una tracollina, alla borsa “da postino” o alla cartella “manageriale” ravvivata nei colori».
Ci sono dei settori dove il dress code è meno rigido?
«Sì, in quegli ambienti cosiddetti “creativi”: in pubblicità, nel mondo del cinema, negli studi d’architettura. In quei contesti vestire classico è facoltativo. Però vige sempre un codice non scritto per il quale in occasioni di particolare importanza si punta su un segno distintivo, pur sempre all’interno di uno stile personale. Questo può significare anche indossare qualcosa di stravagante».
Piercing e tatuaggi sono vietati a un manager?
«Il piercing è sempre percepito come segno trasgressivo e può essere controproducente esibirlo in contesti lavorativi molto conservatori. E’ vero però che alcuni piercing sono più “discreti” - di piccole dimensioni alla narice, al sopracciglio, all’orecchio - e vengono quindi accettati. Il tatuaggio è stigmatizzato in modo minore, ma in viso è sempre guardato con una certa diffidenza».



A cura di Manuela Mancini e Cristina Marina