IL PARADOSSO n° 30 MARZO 2008
LE STRANE CROCIATE DI CARLO: SALVIAMO LE OCHE, MORTE ALLE VOLPI

da Master Meeting MARZO 2008

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Se a qualcuno non piace il paté, che alzi la mano. Anche avessimo davanti una moltitudine, di braccia scattare al cielo ne vedremmo pochine. Dire che il paté è buono mi sembra molto riduttivo. Già immaginarlo come cibo è deviante perché trattasi di una delizia, un sapore divino che, dalla bocca, elettrizza il cervello, scende maestoso in gola per depositarsi, meglio adagiarsi, con languida lascivia nello stomaco. Insomma siamo in presenza dei seduttori di tutti i palati.
Avrete capito che se uno si permette, non essendo un critico gastronomico, un tale incipit sul patè, ne deve andar pazzo a tal punto da indurlo a rivelarvi un segreto biografico. In certe domeniche d'inverno, dopo aver fatto provviste il sabato, mi chiudo in cucina e, a sera, sono pronte tante terrine del miglior poté italiano; tutte prodotte, con amore ed esperienza, dal vostro cronista. Si vede che ne vado orgoglioso? Certo, ma ne ho ben donde.
Questo inizio è perché devo parlar male di Carlo d'Inghilterra e di tutti gli inglesi che gli tengono bordone. Infatti il signore si è scagliato contro il sublime poté e tanti sudditi gli sono andati dietro. Perfino le associazioni animaliste britanniche che ormai chiamano il paté la "tortura in scatoletta". Riconosco che per fare il paté industriale, la filiera di produzione è di una crudeltà senza fine. Le oche selezionate sono obbligate ad un sistema di nutrizione forzata. Un tubo metallico, lungo più di due spanne, viene infilato nel becco in modo che arrivi allo stomaco, dove viene sparata una pappa di mais di 400 grammi. L'inenarrabile tortura dura da due a quattro settimane, l'oca diventa obesa, si ammala di epatite e il suo fegato si ingrandisce di dieci volte, rispetto alla norma. Un motivo d'orgoglio: la nostra Italia, tanto vituperata, ha vietato, dall'anno scorso, questo tipo di allevamento.
Come tutti gli integralisti di fresca data, anche il Principe di Galles, si è buttato nella campagna anti-paté con furia da crociato. E, tanto per cominciare, ha deciso di ritirare il Certificato di Fornitore della Real Casa al formaggiaio che ha il negozio nei pressi della sua proprietà di campagna di Highgrove, perché vende la delizia caduta in disgrazia. Ci sono stati molti indizi, in passato, sul fatto che, il supertitolato britannico non fosse un'aquila. L'accanimento sul suo formaggiaio lo conferma perché se un formaggiaio inglese tiene una nutrita scorta di costoso paté di marca nel suo isolato negozio, significa con evidenza che aveva un solo affezionato cliente: l'augusto principe.
In questa cronaca si insedia, con evidenza, il grande paradosso. Il famoso principe che parta a cavallo del suo ronzinante per una grande crociata verso le vessazioni animaliste nel settore del cibo, è o non è lo stesso signore che assieme ai suoi amici nobili, vestito come un gioppino (giacca rossa e fuseaux bianchi), che corre, comodamente a cavallo, dietro ad una povera volpe, stremata e terrorizzata, perché a sua volta inseguita, da una turba di cani feroci e urlanti? II buon Carlo non ha nemmeno la scusa che, poi, si mangia la preda. Come tutti sanno la carne di volpe è ripugnante per noi umani. Infine questo bel tipo che vieta il paté nel suo regno non è forse lo stesso che butta giù oche selvatiche e anatre di passo, stanate dai reali levrieri? Non è lo stesso che pur possedendo fucili di precisione, il meglio della produzione armiera mondiale, non è lo stesso, dicevo, la cui mira è leggendaria? Si, ma per la sua pochezza.
Quindi le sue prede, con ali e zampine spezzate, agonizzano a lungo prima di morire. Insomma, cattivi sudditi, non fate piangere il buon principe e smettetela di ingozzarvi di paté perché, come dice il Nobel Dario Fò, fa male al principe e fa male al re.



Fulvio A. Scocchera