IL PARADOSSO n° 35 - OTTOBRE 2008
VINCERE, MA SOLO CON LE PROPRIE FORZE

da Master Meeting OTTOBRE 2008

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Il più grande palcoscenico sportivo del mondo che mette in passerella i migliori atleti di quasi tutte le discipline sportive si svolge ogni quattro anni. Dato che il luogo non si sceglie volta per volta ma si “prepara”, vengono allertate un mazzetto di città che, per aggiudicarsi l’ambito palcoscenico, mettono in campo tutte le forze, tutte le energie, tutte le astuzie. Quindi la politica, la diplomazia, il denaro.
Un’occasione unica per la nazione ospitante ma un’occasione fantasmagorica e irripetibile per i giovani atleti che, se vanno a medaglia, avranno il loro nome scolpito, non metaforicamente, sul libro della storia. Quest’anno la grande kermesse dello sport si è svolta a Pechino e figurarsi se noi, da italiani perfetti, non ci siamo esibiti in quell’esercizio che ci riesce sempre così bene: l’autolesionismo.
Praticamente bloccati sul predellino dell’aereo un istante prima di volare a Pechino sono stati due assi della bicicletta, un uomo e una donna, e uno schermitore. Tutti e tre irrimediabilmente dopati. E, altrettanto irrimediabilmente, sputtanati.
Ma già osservando le loro specialità si può cominciare a pensare che il doping, prima di alterare i risultati, ha devastato il cervello. Spiego il perché. I due ciclisti si dedicano ad una disciplina durissima che esige di spremere, dal proprio fisico, tutto lo sforzo possibile fino all’ultima goccia. Terminata anche quella, si gira la levetta della riserva. Quando finirà a secco pure lei, è la natura che parlerà all’atleta. Dicendogli: «Figliolo, non sarai mai un campione e, se vuoi continuare per questa strada, ti aspetta una vita da gregario».
C’è chi se ne fa una ragione e, se pure a malincuore, accetterà l’inappellabile sentenza. Altrimenti si entra dritti nel regno dei paradossi. Perché se la natura ha messo dei paletti al fisico, la scienza e la medicina hanno fatto baluginare agli occhi di atleti incapaci e inadatti, facili autostrade, tutte in discesa, che li avrebbero portati a scalpellare il loro nome di invincibili campioni sulla pietra della storia.
Essere sportivi non è sinonimo di forza, legalità, onestà. Certo, occorre essere tutto questo però la vera pietra filosofale, che trasforma tutto in oro, è, sempre e soltanto, il carattere. Non saranno i muscoli e la passione a far vincere qualcuno su altri. Sarà il carattere che non si piega e non si spezza dinanzi a qualsiasi sacrificio. Il fattore X che distingue i normali dai migliori e i migliori dai campioni. Una merce rara che hanno in pochissimi, cioè i pochi che riescono a salire sul podio senza imbrogli e scorciatoie illegali. Per assurdo sarebbero da scusare in minima parte quegli atleti che fanno sforzi muscolari veramente pesanti, quelli che sfidano le montagne, che si ammazzano di botte sul ring, ebbene sì, anche i ciclisti. Provate voi a scalare i tornanti del Galibier in un giorno magari di pioggia. Con l’“aiutino” sarete dei super uomini ma, se lo usate, sarete dei miserabili che hanno tradito non solo lo sport e gli sportivi, ma anche, e soprattutto, se stessi.
Dico questo perché la vergogna del doping ha fatto cacciare dalle Olimpiadi cinesi anche un fiorettista italiano, un pappabile per l’oro che non doveva certo morire di fatica con la sua leggerissima arma bianca e che, oltre ad essere bravo, aveva il solo dovere di arginare e tenere a bada l’ansia da prestazione. Il fragile signorino, non essendo neanche capace di dominare un’emozione, peraltro stupenda, si è inghiottit una farmacia. Ma uno così perché non fa il bancario, l’antennista, il notaio?
Avrebbe avuto una vita decorosa e tranquilla, la famiglia che l’avrebbe rispettato. Evitando di infangare il suo Paese e tutto lo sport. Senza contare le terribili e quotidiane forche caudine. Altro non sono che lo specchio del mattino. Con la tua faccia.



Fulvio A. Scocchera