IL PARADOSSO n° 040 - FEBBRAIO 2009
LA VERITÀ SPESSO È DOPPIA. O TRIPLA.

da Master Meeting FEBBRAIO 2009

Vai alla vignetta

Sul cancello di molte ville, villette e villini, è spesso esposto un cartello con un avvertimento secco e ultimativo che non ammette deroghe o fraintendimenti: ” Attenti al cane”. Per rendere l’avvertimento il più chiaro possibile molti usano raffigurare il volto dell’animale, quasi sempre con le sembianze del bulldog o animali della stessa progenie. In effetti gli incontri alla Spielberg, cioè del terzo tipo, vale a dire col contatto fisico, sono sempre più frequenti, drammatici e assassini. L’ultimo è il morto, anzi, il morticino, visto che a solo dieci mesi, dilaniato senza scampo da Fauno, il grosso mastino napoletano di famiglia che ha ferito anche la nonna, lanciata alla difesa del piccolino. Accaduto a Genzano, alle porte di Roma, in questi giorni.
Questa storia, ancorché terribile, ha solleticato il mio professionale senso del paradosso che qui vedo gigantesco.
Prima di tutto voltare il cartello. Che non deve più essere un avvertimento agli intrisi, agli sconosciuti, ai malintenzionati. Ma proprio un messaggio agli abitanti della casa, ai residenti, ai familiari: attenti al cane perché può arrivare il giorno, e arriva spesso, stando alle cronache, che la loro vita si trasforma, in pochi furibondi attimi, in tragedia.
In queste circostanze un altro paradosso è che avete preso un cane da protezione, difesa, dissuasione. Non feroce sempre e comunque ma che possa vantare un aspetto non rassicurante e di taglia grossa. Dopotutto i bodyguard non sono efebi ondeggianti col passo di ballerini. Sono marcantoni con la faccia se non patibolare, di certo dura e decisa. Anche di Fauno, il cane assassino di cui ci stiamo occupando, mamma, papà e vicini concordavano nell’affermare:” Era un pezzo di pane, giocava col bombo e con un’altro cagnolino, piccolo, bianco e riccioluto. Mai un problema, mai un sospetto maligno”. In effetti, a vedere Fauno ora e in fotografia, c’è solo una faccia simpatica e rugosa non da omicida ma, da vecchio pugile, rintronato dai pugni.
Sicuro, anche una pistola, tenuta carica, oliata e pronta all’uso in un cassetto di facile accesso ma chiuso a chiave svolge la sua rassicurante missione di silenzioso e letale difensore della casa. Ma nessuno vede il rovescio della medaglia, il paradosso. Perché basta una lite improvvisa, una ubriacatura fuori programma perché l’arma capovolga la sua missione di sicurezza e diventi un cieco omicida famigliare.
Questi ragionamenti portano ad una diversa conclusione. Nel comune sentire, infatti, il paradosso è l’esito insolito e fuori norma di una parola o di una situazione. Insomma, tutto quello deragliato da una conclusione che, poiché l’aspettiamo diremo già scritta in altre analoghe mille circostanze, ecco che lo marchiamo, con inscalfibile certezza, come un paradosso.
Per fare capire meglio il mio pensiero, racconterò un aneddoto che mi è successo veramente tanti anni fa. Incontro un amico che non vedevo da tempo. Dopo qualche frase di circostanza, gli chiedo della moglie e la faccia dell’amico, che chiameremo Luigi, diventa una maschera cupa: “Elena (chiameremo così la moglie) non c’è più, se ne è andata” e così, in un profluvio anche un po’ isterico di parole, vengo a sapere le cose. Aveva una bella aziendina che si è bruciato al tavolo verde e ai cavalli. Per dimenticare si è attaccato alla bottiglia e, per sentirsi ancora vincente, si è messo a correre dietro a tutte le ragazze. Ricordo che mi era venuta voglia di chiedergli se per caso non aveva provato anche con le droghe, ma sono stato zitto. Però non dimentico l’ultima frase del suo racconto: “Capisci? Elena se ne è andata, la mia Elena, quella santa donna che conoscevi anche tu. Non ti sembra un vero paradosso?”.
D’accordo il mio amico Luigi era un po’ fuori di testa ma la sua storia insegna che il paradosso è come l’esplosivo: da maneggiare con molta cura.



Fulvio A. Scocchera